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recensione di Francesca Palmieri

La tragedia inizia con un sogno: il sogno, d'estate, nella sua villa in Brianza, di un industriale lombardo che ricomincia in qualche modo a sentirsi bambino, mentre prova una oscura attrazione per il figlio. Vorrebbe rinnovarsi in lui, recuperando quello stato edenico che è l'ebbrezza libera e ingenua della perfetta adolescenza. Questa storia di "attrazione" e "repulsione" tra padre e figlio diventa, nelle intenzioni del drammaturgo, una straziata metafora del mancato dialogo tra due generazioni, in quegli anni Sessanta in cui il reciproco silenzio portò il nostro paese a conflitti drammaticamente cruenti.

1966: questo è l’anno cruciale in cui Pasolini compone le sue tragedie, in maniera personale e scompigliando il tradizionale modo di scrivere teatro. Scompaiono gli atti, compaiono gli episodi, otto di numero; prologo ed epilogo si riallacciano e l’uno torna all’altro. “Affabulare” qui significa accumulare, esporre infinitamente, aggiungere racconto su racconto. Protagonisti assoluti di queste “vicende un po’ indecenti”, come l’ombra di Sofocle recita nel prologo, sono un padre ed un figlio. Ancora di più un padre, o forse sarebbe meglio dire “Il” padre, lo stesso che appare in quasi tutte le opere di Pasolini, ossessivamente e contraddittoriamente.

L’esperienza autobiografica dell’autore influisce sulla pagina scritta, la condisce di particolari forti e la tinge di colori accesi, i tipici colori del rancore, dell’incomprensione ma forse anche dell’affetto mancato. Il rapporto col genitore è ambivalente, conflittuale e opposto a quello con la madre. Se essa è vista come figura angelica e rappresentata spesso con termini da lirica cristiana, il padre è descritto come centro di contraddizione in cui domina la sfera ambigua. Tra padre e figlio c’è continuo scambio di ruoli, compenetrazione paradossale proprio perché nasce da una divisione, da una frattura interna ed emotiva. L’odio tra i due dovrebbe respingere, invece attrae. Ma non è tanto il figlio che vuol essere padre, quanto il padre che vuol essere figlio. Ed il motivo è semplice: l’adulto invidia e brama la giovinezza perduta, la leggerezza, la bellezza fisica del ragazzo.

In Affabulazione c’è il rovesciamento del mito edipico: è un dramma dedicato al complesso di Laio. Il padre considera il figlio un enigma da decifrare, pieno di fascino. Ma qui sta l’errore: l’enigma si può risolvere, basta usare la ragione, mentre il figlio non si può decifrare e, come afferma Sofocle, in realtà è un mistero, senza soluzione. Lo stesso Edipo ha sciolto l’enigma della Sfinge ma non il mistero della condizione umana. Il padre subirà lo scacco di non poter mai arrivare al cuore, al dunque del figlio e quest’ultimo resterà sempre sfuggente e inafferrabile, un’entità a sé. Il padre tende all’innocenza, al corpo e al sesso del figlio, giungendo fino al delirio, alla pazzia, alla perdita di lucidità.

Realtà, visioni e sogno si prendono per mano. Il primo episodio si apre con un sogno agitato del genitore, in cui torna un altro elemento portante di Pasolini: i piedi, contro cui si rivolge l’aggressività del padre, azione che altro non è che l’emblema del desiderio di castrazione, subìto anche da Edipo. Il sogno è fondamentale perché è una visione, in esso c’è la radice del guardare e dell’osservare. Si guarda un oggetto a fondo per possederlo e per andare oltre. Apparire è essere, è facoltà tipica di Dio: Dio è quando appare. Parlare è cosa da poco in confronto, perché la realtà si può solo rappresentare, non dire: la realtà è solo quella del sogno e della scena. Guardare, inoltre, è simile al mangiare, all’ingoiare e al divorare: per essere un’unità, per avere totale controllo su qualcosa o qualcuno.

Anche se in misura secondaria, la madre ha un ruolo preciso in questa drammaturgia paterna: è colei che guarda stupita e sconvolta gli atteggiamenti ridicoli e ambigui del marito, raccontando di quanto prima fosse diverso e sano. Adesso è una persona malata e si spoglia sempre. Questa riduzione alla nudità è un raggiungere l’essenza vera, un ritorno al primitivo, al selvaggio e all’origine. E’ una sorta di ribellione alla società borghese chiusa e capitalistica, al servizio del denaro, perché Pasolini detesta e condanna il progresso e tutto ciò che deturpa la natura, lo status antico dell’uomo. La nudità è un modo di essere più profondo e più vero, ormai perso. Il padre in questi suoi deliri osserva il figlio ma vuole anche farsi vedere da lui, soprattutto in situazioni intime, come per mostrare ancora la sua forza virile, la sua sessualità attiva. E’ preso da una pulsione voyeristica, molto oltre la semplice trasgressione, che è alla base di ogni comportamento dei personaggi pasoliniani. Chiede persino alla moglie di avere un rapporto sessuale di fronte al figlio ma la donna non accetta e lo stesso giovane scappa quando sorprende il padre nell’atto della masturbazione. Pasolini considera la masturbazione sempre un atto di rifiuto verso la società: disperdere il seme equivale a sottrarsi alla moltiplicazione, alla massificazione.

La vicenda nella prima parte si svolge in una villa, la classica abitazione lussuosa e alto borghese, ma dopo si sposta in una stazione, luogo importante perché rappresenta il momento in cui il viaggio non c’è, è pausa dal cammino, è immobilità dismessa. Il figlio è lavoro intenso, molto crudo e realistico. L’argomento è accorato, il pathos e la sofferenza dominano in ogni pagina. Monologhi che conquistano ma risultano fin troppo eccessivi. Tutto è in eccesso e amplificato, in Pasolini. La figura paterna è davvero caricata di comportamenti e parole che possono destare scandalo. Ma l’intento dell’autore è proprio questo: scandalizzare, scuotere, far parlare. La tragedia si legge in un’ora ma ci si ferma a riflettere molto di più. Perché tra le pieghe dell’eccesso, qualche verità si cela.

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Recensione di Francesco Anzelmo su "Fuori Le Mura" del 06/12/2009

Abbandonate ogni speranza dei vellutati palcoscenici occidentali, dovrebbe essere la dicitura delle porte del piccolo teatro di periferia Ygramul. La coraggiosa compagnia teatrale che anima Ygramul segue da svariati anni l'ambizioso progetto di far convivere o meglio concrescere, il teatro europeo a cui loro stessi attingono per le loro performance, con gran parte del teatro non occidentale (per es. sud americano, africano, balinese). Il risultato, come gli attori stessi ci raccontano, vuol essere un teatro antropologico che porti ad una sorta di "baratto teatrale" tra concezioni artistiche spesso molto distanti, quindi diverse e per questo fascinosamente accostabili. Su questa cornice così particolare è incastonato il testo di Pasolini, Affabulazione, che la compagnia Ygramul ha portato in scena dal 27 al 29 novembre. Un sogno da l'incipit alla tragedia, un sogno che prende per mano la realtà, un sogno che nella sua inconsistenza da inizio ai fatti, si fa un fatto: l'ambigua attrazione di un padre per il figlio. Il punto di vista, che potremmo definire "anti-edipico" rivelando il ribaltamento del famoso mito, pone l'accento sul padre che vede nel figlio un "affascinante enigma" da decifrare ma che lo porterà alla follia senza salvezza ne soluzione. L'opera di Pasolini incanta e inganna, è "una tragedia che finisce ma non inizia", la vera "Affabulazione" sta in questo intrecciarsi di sogno e realtà che lega l'inizio della tragedia alla sua fine. La compagnia Ygramul si sofferma sui rapporti socio-familiari che emergono, ricamando una certa critica contro la pedofilia come debolezza, mancanza di responsabilità dei padri e ancora omertà delle madri. Non un figlio che uccide un padre, ma un padre debole che uccide il figlio, non Edipo patricida, ma Laio degenere. È l'adattamento che ne fa il gruppo teatrale Ygramul a rendere il testo rappresentato pregno di un'indelebile intensità: il palcoscenico non ha quinte, ma si apre agli occhi degli spettatori senza segreti, si tratta di una struttura balinese, una sorta di gabbia di legno (originariamente luogo che accoglieva la lotta tra galli) che diventa spazio scenico a tutto tondo. Qui il pubblico si trova subito assorto, coinvolto dai rumori, da luci e colori, dagli stessi oggetti di scena, in una esperienza sinestetica, tanto reale che rasenta il surreale. Le parole e i versi perdono la loro espressività, per farsi "linguaggio fisico basato sui segni". Un inedito Pasolini dunque immerso nei ritmi e nelle gestualità del teatro balinese, che acquista sonorità e fluidità, trame e linee di sviluppo involute in una messa in scena classica, ma che qui esplodono in una mirabolante ecolalia di gesti e suoni. Ciò che resta a fine spettacolo non è del tutto spiegabile, sicuramente la consapevolezza di aver assistito ad un atto, quello teatrale , che torna ad essere rito, momento reale al pari della vera realtà.
- Francesco Anzelmo
Affabulazione
Tratto da un opera di Pier Paolo Pasolini, creazione del Gruppo Esoteatrale Ygramul LeMilleMolte dopo il viaggio sull'isola di Bali. Ricerca sul tema del Potere Maschile/Patriarcale, l'abuso all'infanzia e la Pedofilia.

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Recensione di Alessandro Paesano su Teatro.org del 03/12/09

Spettacolo di Terzo Teatro (antropologico), rappresentativo della ricerca e dell'agire patafisico del Gruppo Ygramul LeMilleMolte. La messa in scena prende a pretesto il testo di P.P. Pasolini, per narrare l'esperienza della compagnia Ygramul sull'isola di Bali nel luglio ed agosto 2007, in un progetto teatrale di lotta e prevenzione alla pedofilia ed al turismo sessuale. All'interno di un ring, che ricorda quello balinese del combattimento dei galli, prendono vita i personaggi pasoliniani. Il Padre, colpito da una passione 'pedofila', combatte in una sorta di delirio febbricitante con la sua stessa Ombra, incarnazione della 'morale' e del 'tabu sociale''; si scontra con il Figlio, in una lotta di parole e di gesti che ricordano le danze balinesi, e rende complice la Madre, incapace di denunciare e fermare la violenza maschile. Il gruppo costruisce i gesti dello spettacolo con le conoscenze apprese nella permanenza a Bali (Danze, uso della Maschera, Vocalità, Ritmo, ecc.)

Un'affabulazione magnifica, ma...

La compagnia del teatro Ygramul è riuscita a contaminare Affabulazione di Pasolini con le istanze del teatro balinese riuscendo ad allestire uno spettacolo da vedere come si può vedere un'opera d'arte, che non tradisce il testo pasoliniano ma, al contrario, ne esalta tutti i punti.
La pièce di Pasolini, la più nota di quelle da lui scritte, racconta di una curiosità sessuale di un padre capitalista (padrone di fabbrica) per il figlio diciassettenne.
Un rovesciamento del freudiano complesso di Edipo in un più plausibile complesso di Laio (come ricordava in quegli anni Tilde Giani Gallino in uno splendido volume pubblicato presso Einaudi: è il padre che si sente minacciato dal figlio e vuole ucciderlo per sostituirsi a lui). Per Pasolini questa curiosità passa attraverso la differenza anagrafica tra adulti e giovani, dove, sulla stessa lunghezza d'onda di Franco Brusati, l'adulto è attratto dal giovane come istanza di sostituzione. In Affabulazione questo avviene in un continuo ribaltamento di ruolo e di significato, tra vecchiaia e gioventù, tra potenza sessuale e valenza procreatrice del membro maschile, e, in ultima analisi, come sintomo del potere radicato nella famiglia, che corrompe, uccide (come farà il protagonista della pièce dopo aver assistito all'amplesso del figlio con la sua fidanzata). "Figlicidio" (se perdonate una parola inesistente che la dice lunga sull'omertà di questa pratica già nel lessico occidentale) e incesto, questi i cardini di Affabulazione, innestati in un continuo confronto con la tragedia greca (compare Sofocle a spiegare al padre i motivi della sua attrazione per il figlio) e al sogno (elemento scatenante con il quale si apre la narrazione).
La compagni,a pur rispettando la letteralità del testo pasoliniano, lo sviluppa in un impianto scenico del tutto avulso da quello del classico teatro borghese, a cominciare dalla classica separazione lineare tra platea e scena.
Lo spazio teatrale di questa splendida messa in scena è organizzato attorno a un soppalco quadrato di pochi metri per lato, sotto e sopra il quale quattro attori interpretano tutti i personaggi della pièce.
Il pubblico siede all'esterno del soppalco, subito di fronte ad esso, su tutti e quattro i lati, secondo precise indicazioni ricevute prima dell'entrata in sala. I quattro lati sono organizzati in modo da farvi sistemare due coppie opposte di spettatori: quelli giovani che siedono (al di là del soppalco) di fronte ai saggi (anziani) e i padri che siedono opposti alle madri (ovvero gli adulti sopra i 33 anni).
Questa disposizione del pubblico, selezionato per ...condizione anagrafica, permette non solo agli attori di scegliere a chi rivolgersi (Ai padri o ai giovani? Alle madri o ai saggi?) ma, al contempo, dà agli spettatori la possibilità di vedersi di modo che, pur senza entrare a far parte diretta dello sviluppo drammaturgico, gli spettatori fanno comunque parte integrante della scena, con le facce e le reazioni che hanno, sia per il testo scandaloso di Pasolini cui assistono, sia per il tipo di messa in scena e di recitazione dei quattro attori.
La messa in scena infatti è sviluppata secondo le direttive (riviste e corrette) del teatro balinese (a iniziare già dalla forma dello spazio scenico) in una doppia articolazione spaziale. L'asse verticale (sul soppalco agisce, non visto, un quinto attore che provvede alla musica, sempre e solo dal vivo, suonando la chitarra o le campane tibetane interpretando anche Sofocle), usato dai 4 attori, che si arrampicano sui quattro piloni di sostegno del soppalco fino a raggiungerne la sommità, da dove possono pendere verso il basso o lasciarsi scivolare giù, ovvero rimanendo sospesi a metà del pilone.
Lasse orizzontale che prevede un impiego a 360 gradi dello spazio recitativo, rivolgendosi ai quattro lati dove, come si è detto, sono sistemati gli spettatori, ma anche nell'interazione dei personaggi tra loro individuando diverse stazioni recitative anche in relazione ai quattro piloni del soppalco che identificano, di volta in volta, ambienti diversi.
La recitazione si muove sul crinale dell'estraniazione, mai fine a se stessa, ma sempre attenta a dare credibilità a quel che si dice, senza cercare un naturalismo troppo disinvolto. Simone di Pascasio è bravissimo nel recitare il ruolo della madre, rendendo un femminile che sia tale e non parodia, dandone una interpretazione ambigua e colpevole (nonostante sia vittima, come il figlio, del potere denunciato da Pasolini, non si accorge mai di nulla e non capisce i deliri del marito) e interpreta anche altri personaggi come il prete, il commissario, la chiromante e la ragazza del figlio, con una sorprendente duttilità recitativa solo apparentemente coadiuvata dalla scelta (assente nel testo pasoliniano) di dare voce a tutti questi personaggi, madre esclusa, con diversi dialetti del nord che invece contribuisce a sottolineare il loro ruolo di pedine, nel disegno del potere analizzato dalla pièce, prive di spessore o di autonomia di comportamento. La loro esistenza è solo in funzione della società in cui vivono.
Il personaggio del figlio è interpretato dall'unica donna della scena, Vania Castelfranchi, che rimane per tutto il tempo legata a un tessuto, cordone-ombelicale, nel quale avviluppa ogni tanto anche il padre mentre, alla fine, stende dei lenzuoli dal soppalco verso i quattro lati dove sono gli spettatori.
Il padre invece è sdoppiato (padre e ombra del padre) e dunque interpretato da due attori diversi (Vania Castelfranchi, che firma anche la regia, e Massimo Cusato) che a volte si passano la battuta come in una staffetta, spesso invece sovrappongono parole o parti di frasi. Ne emerge una dicotomia tra un padre viscerale, terrigno, che vuole agire,e un altro pavido, vittima inerme del suo stesso desiderio incestuoso.
Questa sovrapposizione dei dialoghi è una caratteristica di tutta la messa in scena che somiglia più a una partitura musicale o a una danza narrante che alla classica messa in scena del teatro borghese, danza che si sedimenta in una danza propriamente detta quando, tra un episodio (la suddivisone che in Pasolini sostituisce quella più classica degli Atti) e l'altro, i quattro attori si danno a una danza popolare, suonata da una chitarra struggente.
A questa messa in scena complessa, ricca, piena anche di inventiva performativa (i quattro piloni usati come ambienti diversi, diversi attrezzi di scena usati con le funzioni più disparate, anche come gradini per innalzarsi sui piloni) corrisponde un'alta capacità atletica degli attori la cui fisicità è impiegata pienamente: si arrampicano l'uno sull'altro, mentre uno è sdraiato l'altro gli sale sopra, ricordando gli esercizi di preparazione di Grotowsky (altro punto di riferimento della compagnia). Ma questa complessa e al contempo semplice messa in scena (semplice perché squisitamente teatrale e scevra da sovrastrutture di qualunque tipo) non è solo interessante di per sé, per essere vista, goduta, e fruita dallo spettatore (che comunque ha un suo interesse e uno perché), ma è anche funzionale al testo.
Questo ordito complesso e interessante non contraddice quel teatro di parola che Pasolini andava teorizzando ma contribuisce al compito didattico pedagogico del suo teatro parlato.
Lo straniamento fa emergere in maniera ancora più evidente la critica sociale, antropologica e politica che Pasolini fa della società e della famiglia borghesi e capitaliste all'interno della quale i padri uccidono i figli (e schiavizzano le mogli) ma dove, pure, la donna è complice di un potere che, pure, la esclude...
Insomma non si può dire davvero di aver visto Affabulazione di Pasolini se non si è vista la versione del Teatro Ygramul, uno spettacolo cui tutti dovrebbero assistere per la capacità che ha di comunicare concetti complessi e renderli chiari ed evidenti se non alla razionalità, all'emotività dello spettatore, di noi giovani e vecchi, uomini e donne, padri e madri, e, naturalmente, figli/e.
Solo un aspetto, che verte più sul paratesto che sullo spettacolo nella sua messa inscena, getta un'ombra inquietante su tutta l'operazione.
Il sottotitolo di questa Affabulazione è Opera balinese contro la Pedofilia occidentale liberamente tratto dal testo teatrale di Pier Paolo Pasolini. E quella parola, pedofilia, pesa come un macigno.
Cosa c'entra la pedofilia con Affabulazione?
Nulla.
Infatti non solo nel testo non ce n'è traccia, ma nemmeno nell'allestimento della compagnia se ne fa menzione. In Affabulazione si parla di incesto casomai, di desiderio omoerotico di un padre per suo figlio. Un figlio di 17 anni (diventeranno 19 negli ultimi episodi, quando il padre, grazie all'ausilio di una chiromante, lo ritrova e lo uccide). In ogni caso l'uso della parola pedofilia in questo contesto rimane ingiustificato e dunque incomprensibile, visto che, nello stesso programma di sala, parlando di pedofilia, viene espressa un'età limite intorno ai 14 anni e che, per il corrente codice penale italiano, forse è il caso di ricordarlo, il sesso tra un adulto e un minorenne è legale se il ragazzo o la ragazza in questione è consenziente e ha superato i 16 anni di età.
Un accostamento del genere risulta talmente incauto da lasciare adito alle letture e alle insinuazioni più retrive e reazionarie, al vizio ideologico e al pregiudizio omofobo di chi accosta l'omosessualità (maschile) quella incestuosa del padre per il figlio, ma, naturalmente, anche quella di Pasolini al quale piacevano i ragazzi, alla pedofilia.
Un accostamento erroneo, da correggere e censurare senza alcuna esitazione.
Un accostamento così infelice che, dopo aver visto uno spettacolo così bello, ha proprio l'effetto della più gelida delle docce fredde.
Un accostamento del quale chiediamo pubblicamente ragione a chi lo ha fatto anche solo perché getta un'ombra scurissima, non già sulla grandezza di uno spettacolo teatrale magnifico, ma sul genio di chi, suo malgrado, l'ha prodotto.
Visto il 29/11/2009 a Roma (rm) Teatro: Ygramul
Voto: 6 Stelline
Voto del Redattore: Alessandro Paesano

 

durata: 90 minuti ca
spazio scenico: pedana m. 8x8
altezza minima m. 3,50
fondale buio
scala per puntamenti
220 w
spazio chiuso/aperto

attori-musicisti: 5
tecnici: 1
produzione: Ygramul LeMilleMolte 2009

Scheda Tecnica Completa

 

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